domenica 23 luglio 2017

Il soldato bizantino



San Giorgio XI secolo
L’attività bellica nella storia dell’impero bizantino è sempre stata molto presente, da ciò scaturisce che il soldato occupava un ruolo molto importante nello Stato.
La struttura organizzativa era particolarmente legata all’antichità romana, anche nella terminologia militare che rimase al lungo ancorata al latino. Non è comunque facile delineare un quadro complessivo del soldato bizantino a causa delle poche fonti a noi pervenute.
Per approfondire il ruolo del soldato ci basiamo sui testi conosciuti come <<taktika>>, manuali militari scritti dai vari imperatori. Dai taktika riusciamo a dedurre le caratteristiche del <<soldato ideale>>: questo doveva essere non troppo vecchio né troppo giovane, di buona salute e con buone abilità. Fino all’XI secolo sussistette la leva obbligatoria, in seguito questa forma di reclutamento fu sostituita con l’arruolamento di soldati professionisti e di truppe mercenarie. Generalmente si entrava nell’esercito non oltre i ventiquattro anni; vi era però la possibilità di essere richiamati a qualsiasi età in caso di guerra. E’ ragionevole pensare che la prima chiamata alle armi avvenisse in tempo di pace, allo scopo di offrire un adeguato addestramento e una maggiore pratica nell’uso delle armi.
Dal manuale dell’imperatore Leone si traggono notizie sulla disciplina militare e sugli esercizi collettivi tra i quali l’uso dell’arco, punto debole dei bizantini rispetto ai popoli iranici e turchi.
Nei taktika inoltre veniva delineato il profilo dei nemici di turno per preparare i soldati a fronteggiare con maggiore destrezza l’armata avversaria.

In testa ai vari gradi dell’esercito bizantino stava lo strategos (comandante in capo), affiancato dall’hypostragetos (comandante in seconda); un merarches (generale) comandava le varie divisioni, ciascuna costituita da tre reggimenti, ognuno di essi guidato da un moirarches (colonnello). Nella struttura gerarchica del reggimento seguono il komes (capitano), l’ilarches (tenente), l’hekatontarches (comandante del plotone o centurione) e infine il phylax (tetrarca o guardiano).
La scuola militare si divideva tra cavalleria e fanteria, seguendo la vecchia storia romana. Per quanto riguarda la fanteria leggera i soldati indossavano abiti leggeri, principalmente una tunica da portare fino alle caviglie; la fanteria pesante invece era corazzata con un’armatura pesante e proprio per questo era concesso di montare sui muli e di avere degli accompagnatori che portassero la corazza. All’interno dell’esercito spicca inoltre la figura del catafratto, cavaliere dall’armatura pesante ed armato di lancia.

L’esercito non aveva solo un ruolo nella difesa dei confini o nelle campagne di conquista, ma rappresentava una grande forza politica che interagiva in modo pesante sulle decisioni della vita sociale bizantina. Nel III secolo infatti molti imperatori furono eletti anche grazie all’appoggio dell’esercito e gran parte di loro arrivarono al trono attraverso la carriera militare; tra questi possiamo citare qualche nome come Giustino (zio di Giustinianio), Leone III (gran generale dei temi) e Maurizio (comandante della frontiera orientale).

Il cristianesimo dei primi secoli poneva l’accento sul suo ruolo di pace, per cui i cristiani, sebbene prestassero servizio militare nell’esercito, non si rispecchiavano nella condizione di soldato al servizio dello Stato, ma esaltavano la concezione di guerriero visto come martire della fede. Alcuni cristiani che vennero sottoposti al martirio durante il servizio militare vennero presi come modello di milites Christi e si diffuse il loro culto soprattutto nei periodi in cui l’impero bizantino era impegnato a fronteggiare l’esercito degli infedeli. Tra gli eroi cristiani più venerati si annoverano san Demetrio, san Procopio, san Teodoro e san Giorgio. Il <<santo soldato>> non solo proteggeva i soldati ma si narra spesso di apparizioni nel campo di battaglia a protezione dell’esercito in difficoltà.
San Demetrio
            Pochi erano i riti e ancor meno le celebrazioni liturgiche che accompagnavano la battaglia. Prima degli scontri il vessillo di guerra era benedetto con il segno della croce e si recitava una preghiera nell’accampamento con la quale veniva richiesto l’aiuto misericordioso di Dio.
Talvolta per combattere la paura i soldati facevano affidamento, oltre che alla religione, a riti superstiziosi. Da un’opera di Teofilo, astrologo di corte nell’VIII secolo, si evince l’ampio impiego di pratiche astrologiche, diversi erano i segni celesti che si pensava influenzassero l’esito delle battaglie.
            La retorica militare aiuta a capire come il soldato affrontasse il concetto della morte; scoviamo frasi emblematiche come nel romanzo del metropolita Costantino Manasse "meglio morire in combattimento che in guerra", la quale fa comprendere che l’idea predominante fosse quella della fama del guerriero e quanto il concetto cristiano della ricompensa celeste avesse poca influenza. La morte veniva vista come qualcosa che permetteva ad umile soldato di ergersi a difensore valoroso dell’impero.
Le mogli dei soldati caduti ricevevano un sostentamento il cui valore variava a discrezione del sovrano: Michele I, ad esempio, elargì una somma in ora per le vedove dei caduti nel conflitto contro i Bulgari.

            Nonostante l’ideale epico di eroe valoroso e invincibile, nella realtà il soldato sovente conviveva con angosce e difficoltà; tuttavia l’impero bizantino deve in parte la sua notevole longevità proprio alla figura del soldato.


martedì 13 giugno 2017

Francisco Bethencourt - Razzismi. Dalle crociate al XX secolo


Bethencourt affronta le diverse forme di razzismo che hanno preso vita nel corso della storia occidentale dalle crociate al XX secolo, mettendo in evidenza la stretta correlazione tra il razzismo e progetti politici; scrive lo stesso Bethancourt:

è la lotta per il monopolio del potere che si combatte con il razzismo e le teorie razziali. I pregiudizi riguardo alla discendenza etnica associati a pratiche di discriminazione sono strumenti di progetti politici, anche se non sempre fatti propri e istituzionalizzati dallo stato.

Queste interpretazioni sono alla base dell'ipotesi che ispira il mio lavoro, ossia che il razzismo sia innescato da progetti politici e connesso a particolari condizioni economiche. Il razzismo è alimentato o viceversa scoraggiato da autorità o centri di potere capaci di una certa influenza, e prende le direzioni disegnate dalla memoria collettiva e da possibilità impreviste.

mercoledì 24 maggio 2017

Spezie: La noce moscata

Mercante di Noce Moscata - Tractatus de herbis, Francia, XV sec.


Pianta equatoriale originaria delle isole Banda (Molucche), diffusa in Indonesia e Malesia, successivamente esportata a Ceylon, Madagascar e Antille. Il frutto è simile ad una albicocca color giallo pallido, con polpa biancastra che racchiude un grosso nocciolo bruno dal guscio traslucido, rivestito da un arillo reticolato di colore vivace che va dal rosa arancio al rosso mattone. Il termine "noce moscata" si è formato in epoca medievale, in alternanza a nux miristica (dal lat. muscus e dal greco myron, confezione profumata).

Le principali vie commerciali in Oriente erano originariamente due (le stesse dei chiodi di garofano): a nord verso le Filippine e la Cina e ad Ovest verso la penisola malese e l'India (Sanscrito: jati-phala; Malese: pala; Cinese: joutou-k'ou).
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Mattioli (1568) sosteneva che la noce moscata fosse conosciuta gia nell'antichità classica; Plinio, XII, 135, affermava che dalla noce si estraesse un profumo quasi altrettanto piacevole che il cinnamum.

Nella cucina medievale veniva aggiunta sul pesce bollito o nel pan di zenzero ed era nota anche per rinfrescare il respiro e confortare lo stomaco.

Fonti:
Enrico Carnevale Schianca - La cucina medievale: Lessico, storia, preparazioni - Firenze, Olschki
Alessandro Faro - Le spezie e il Medioevo: tra il quotidiano e l'immaginario
I discorsi di P.A Mattioli (1568)

venerdì 24 marzo 2017

Donne: erbe e cure



Lo stretto legame tra le donne e le erbe è ascrivibile al periodo Paleolitico, alle donne infatti spettava la raccolta delle erbe e dei frutti che fungevano sia da alimentazione sia da sostanze che, accuratamente mescolate, si rilevavano utili per le cure e le affezioni.

Nell'Antichità durante il culto della Bona Dea (manifestazione devota praticata esclusivamente da donne) le sarcedotesse detenevano una grande quantità di erbe. L'uso di quest'ultime era destinato per lo più legati a riti propiziatori, ovvero, strettamente vicine alla fertilità, alla gravidanza e al parto.

Nell'Alto Medioevo numerose donne operavano come guaritrici fornendo cure a basso prezzo agli strati più poveri della società.

Gli intrugli utilizzati erano spesso associati a rituali magici, non a caso la raccolta delle erbe seguiva uno specifico calendario magico: la notte di San Giovanni era quella più propizia per cogliere le piante portatrici di fecondità come la ruta, la salvia, il finocchio; le radici di peonia, utili per curare l'epilessia, dovevano essere colte solo nelle notti di luna calante.

Sant'Ildegarda per le donne che riscontravano difficoltà nel concepimento consigliava il finocchio e la renella:

Se una donna incinta fatica molto durante il parto, si cuoccia in acqua, con precauzione e grande controllo, un poco di erbe leggere, ossia il finocchio e la renella, e tolta l'acqua, le si disponga calde intorno ai fianchi e al dorso della donna, legandole delicamente con un panno che le tenga ferme, affinchè il dolore e le chiusure si sciolgano un poco più facilmente e dolcemente. Gli umori cattivi e freddi che sono nella femmina quanto è incinta, la contraggono e la chiudono, ma il soave calore del finocchio e della renella, esaltati dalla dolcezza dell'acqua messa sul fuoco e disposti intorno ai fianchi e al dorso, dal momento che proprio in quei punti la donna soffre per la concentrazione, stimolano le membra ad aprirsi.

Letture consigliate:

Trotula : un compendio medievale di medicina delle donne / a cura di Monica H. Green ; traduzione italiana di Valentina Brancone
Firenze : SISMEL - Edizioni del Galluzzo, 2009

Sulle malattie delle donne / Trotula De Ruggiero ; a cura di Pina Cavallo Boggi ; traduzione di Matilde Nubié e Adriana Tocco
Torino : La rosa, 1979

Cause e cure delle infermità / Ildegarda di Bingen ; con una nota di Angelo Morino ; a cura di Paola Calef
Palermo : Sellerio [1997]

martedì 17 gennaio 2017

L'artemesia




 
Artemisia
Fra le piante magiche, l'artemisia ha avuto sempre un posto di grande rilievo. Era spesso indicata per le malattie della matrice (matricaria).
L'artemesia era la pianta più strettamente legata alla donna e alla cura delle donne. Plinio, Ippocrate e Dioscoride la consigliavano per i disturbi femminili. Ippocrate per l'espulsione della placenta, Dioscoride per sollecitare il parto.

Il Cristianesimo al fine di eliminare l'alone pagano che inesorabilmente aleggiava sulle erbe, mutò il nome della pianta (riconducibile alla dea pagana benefica e feconda Artemide) denominandola erba Santa Maria.
Il fenomeno di associare erbe al sacro crebbe constantemente nel tempo, portando di fatto alla nascita di una vera e propria farmacopea cristiana.

Vincenzo Tanara, sull'erba Santa Maria scrive:

L'erba Santa Maria, detta menta greca (...) serve per far frittelle, e per la sua dolce agrezza sono vivanda grata li giorni di magro, se bene fatto grasso, non sono ingrate, si come trite e misticate con ova, la frittata rende buona; dà ancora buon gusto e odore alle minestre, ove con altre erbe entra e salse; è mangiata volentieri dalle donne per giovar i dolori della matrice. Moltiplica col spartire il caspo, se ne fa impiastro sopra il petinecchio e fa orinare; scaldata con vino bianco e sopra lo stomaco, lo corrobora; questa pianta sparsa in terra, scaccia i serpenti e lo stesso fa il suo fumo.

Sempre secondo una leggenda cristiana, la pianta germogliava lungo il sentiero del serpente del Paradiso terrestre, assumendo la connotazione di erba del pellegrino, ovvero di colui che percorrendo strade poteva incorrere in brutti incontri. Nel codice Historia Plantarum della fine del XIV secolo, troviamo:

Se qualcuno viaggiando la porta con sé non incontra inciampi e caccia la fatica del viaggio e la stanchezza.

La badessa Idelgarda ne esaltava le proprietà digestive:

un pizzico di questa polvere preso mattina e sera, a digiuno sistema i disturbi di stomaco.

In cucina nel tardo Medioevo nelle campagne padane, il culto della vergine/madre veniva celebrato con i tortelli all'artemisia